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13) Martino Piazza, Madonna col Bambino tra le sante Caterina d'Alessandria e Lucia, ubicazione ignota
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14) Martino Piazza, Vergine con Sant'Anna, San Giovannino e l'angelo, ubicazione ignota
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15) Martino Piazza, San Gerolamo penitente, collezione privata
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confermata, secondo la quale Alberto "morì all'ospitale vittima della peste"(19).
Il primo studioso che dedichi integralmente un capitolo ad uno dei due fratelli è Girolamo Luigi Calvi (Milano, 1791 - 1872), pittore e già frequentatore delle lezioni di Giuseppe Bossi all'Accademia di Brera; egli è l’autore di un'opera dedicata agli artisti lombardi che si distinsero nella Milano viscontea e sforzesca. Il protagonista di questa parte è "Alberto o Albertino", come viene definito comunemente, ritenuto il "fodatore di questa famiglia"; egli "ebbe a fratello un tal Martino, il quale, minore d'età come di merito, a lui s'associò nell'assunzione delle opere, ma non si conosce che mai operasse da solo, sicchè è a credere servisse al fratello solo di aiuto" (20). Con questa affermazione il Calvi si pone in contrasto rispetto alle proposte del Rio. Il passo si spiega con il successivo, in cui il Calvi interpreta erroneamente la fonte lomazziana poc'anzi esaminata, ritenendo che Alberto "con altri de' più riputati pittori, eseguisse in Milano nel palazzo del duca Francesco Sforza le altrove nominate pitture, che andarono rovinate per gli innovamenti compiuti in quel palazzo dal governatore spagnuolo marchese di Gusman" e prosegue poc'oltre dicendo: "E' a credere che il duca Francesco [...] tardi pensasse ad abbellire il palazzo dell'Arengo, ove vuolsi tenesse la sua stabile residenza; e che appunto ancora giovanissimo Alberto Piazza, avendo dato buone prove nell'arte, venisse chiamato ad operarvi" (21). Il Calvi è quindi costretto a ipotizzare una vita lunghissima di Alberto. Mancato, come sappiamo, entro il 1529, anno nel quale viene sostituito dai nipoti che completano l'ancona per la scuola di San Bovo e Santa Lucia in Duomo, e già attivo alle dipendenze di Francesco Sforza (1450 - 1466) nella "corte maggiore di Milano" che egli vorrebbe essere l'Arengo ma che corrisponde probabilmente al Castello di porta Giovia, poi Sforzesco.
Della difficile strada intrapresa se ne rende conto lo stesso autore, che non si spiega l’assenza di opere a lui attribuibili per un così lungo periodo di tempo. Così è costretto a supporre un viaggio di Alberto lontano dal territorio lodigiano, forse presso il Perugino e poi a Roma con Raffaello. Nonostante infondata, l’ipotesi ebbe una certa fortuna, riscuotendo alternativamente i consensi della critica fino in tempi recenti; la letteratura artistica successiva, per trovare una spiegazione più convincente, giunse persino a ritenere che 'gli Albertino' fossero due e precisamente l’Alberto da Lodi ricordato dal Lomazzo e il Piazza attivo agli inizi del Cinquecento.
Il Calvi, ponendo il ritorno di Alberto a Lodi poco prima del 1512, gli riferisce, spesso con
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