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10) Martino Piazza, Madonna con Bambino, collezione privata
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11) Martino Piazza, Madonna col Bambino, San Giovannino e Sant'Elisabetta, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica
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12) Martino Piazza, Madonna col Bambino e San Giovannino, Milano, chiesa di San Marco
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che "anche l'occhio più attento non riesce a scoprire differenze di tecnica e di modellato là dove egli le additò" (14). Il tentativo del Passavant si conclude infatti nell’accogliere come eseguite da entrambi i fratelli le molte opere lodigiane tradizionalmente attribuite ai Piazza. Con la proposta di ritenere Martino il più dotato e l’autore delle parti inferiori dei polittici all’Incoronata e in Sant’Agnese, lo studioso apriva di fatto la strada a quell'altalenante e quasi ossessiva ricerca di caratteri distintivi all'interno di questi dipinti che si protrarrà fino a pochi anni or sono. Sulla medesima linea del Passavant, del quale ricorda spesso le conclusioni, si colloca la voce del Nagler (15) che si attiene, come punto di partenza, alle affermazioni del Lomazzo circa gli affreschi eseguiti all'epoca di Francesco Sforza.
Il primo a dedicare un intero capitolo, il quinto, esclusivamente alla scuola pittorica lodigiana è Francois Rio. Principale rappresentante è ancora considerato Martino Piazza, per il fatto che lo si riteneva già attivo nel 1508, data probabilmente inesatta per la decorazione ad affresco di un ciclo andato perduto nell’abside del Duomo della sua città.(16)
Determina ulteriore confusione la ricostruzione genealogica della famiglia: per giustificare il passo del Lomazzo, il Rio ritiene che l'Albertino citato non possa essere la medesima personalità già operante all'epoca di Francesco Sforza, secondo l'interpretazione datane fino allora, e per questo motivo considera plausibile l'esistenza di due artisti, un fantomatico Bertino che sarebbe stato il capostipite della famiglia, e il figlio Albertino. Tant'è che afferma: "Non si sa come classificare quel Bertino Piazza, fondatore della famiglia e anche della scuola, che è da Lomazzo nominato fra i pittori chiamati dal grande Sforza a Milano, per dipingere i baroni armati nella maggior corte del suo castello"(17).
Di un certo rilievo è l'osservazione con la quale il Rio prende in esame il presunto rapporto di bottega tra i due fratelli, precisando: "E' difficile fissare la parte di collaborazione che una vaga tradizione attribuisce ad Albertino nelle opere di suo fratello, che gli era di gran lunga superiore." Lo studioso considera correttamente quest'ultimo più giovane, riconoscendo che "Se vi ha una specie di merito [...] è nella produzione delle figure o de' gruppi, in cui devono spiccare le espressioni soavi e grandiose"(18).
Questa linea critica, seppure abbandonata per privilegiare l’altra ipotesi che considera Alberto maggiormente dotato, conserva alcuni spunti positivi: risulta acuta in quanto riconosce che il passo del Lomazzo crea problemi di datazione, per la sequenza cronologica dei tre polittici lodigiani, con quello Berinzaghi collegato al documento del 1514, fino alla notizia, purtroppo non
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