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61) Alberto Piazza (?), San Giovanni Battista col donatore (particolare), Lodi, Duomo
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61a) Alberto Piazza (?), San Giovanni Battista col donatore, Lodi, Duomo
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63) Alberto Piazza, Scena di sacrificio, genova, Palazzo Reale
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d’Oggiono.(88) Si tratta dell’opera più significativa e di più grandi dimensioni finora rintracciata di Martino, nella quale il lodigiano esprime al meglio tutte le proprie esperienze. L’incedere solenne e cadenzato delle monumentali figure che passano davanti ai nostri occhi, seguendo un sentiero che attraversa la vasta radura, trasmette un pacato senso di calma, neppure scalfita dalla miriade di piccoli particolari che sottolineano veristicamente l’episodio. I colori vivi, i rossi scarlatti e gli azzurri intensi accendono una situazione altrimenti resa su tonalità smorzate, risvegliata qua e là dalle macchie di verde delle foglie che contrastano con le zone brune e seppia del sentiero pietroso, dove un cagnolino avvertito del loro passaggio fa la guardia alla sfera dai simboli più controversi.
Allo stesso momento risale la Sacra Famiglia in un paesaggio /fig. / (89) che presenta convincenti punti di tangenza con la grande tela milanese. Il profilo arguto del San Giuseppe con la folta barba costituisce la prova determinante quanto l’espressione austera della Vergine, in un fitto ammantarsi di panni e veli trasparenti che richiamano le precedenti sigle distintive. Sullo spuntone roccioso il Bambino è rannicchiato accanto alla madre che lo protegge con la mano e ne conserva il frutto nell’altra col braccio disteso. Come non sottolineare il singolare svolgimento di una scena tra le più convenzionali. Martino continua a cercare formule diverse dalle precedenti, inserendo scorci azzardati, gesti inconsueti, particolari sproporzionati in una griglia di motivi stilistici che ora incominciamo a riconoscere come personali.
Anche nell’inedita Madonna col Bambino tra le due Sante martiri Caterina d’Alessandria ed Eufemia /fig. /(90), si conferma l’importanza della luce che gioca sulle pieghe dei tessuti, sugli incarnati, sulle ciocche dei capelli, sulle trasparenze dei veli, con riflessi meno vividi rispetto alle opere degli inizi del decennio e con il sorgere delle insistite asprezze nei panneggi, accentuate dalle lumeggiature dorate. Si incominciano a vedere alcuni sintomi del cambiamento che vedrà Martino esibirsi in modi assai affini a quelli di Bartolomeo Veneto, tornato nel milanese proprio durante il secondo decennio, come documentano il Ritratto di giovane ebrea, già in collezione Melzi d’Eril, il Ritratto d’uomo dell’Ambrosiana e il Ritratto femminile come Maddalena.(91) Un elegante esempio delle affinità tra i due artisti è la versione del 1520 della Suonatrice di liuto (Milano, Pinacoteca di Brera), che rispecchia i modi di Martino, al punto da non escluderne l’autografia. Una interpretazione in chiave più nordica, che confermerebbe le consonanze di stile e di temperamento artistico. Anche gli effetti serici del tendaggio increspato e la tipologia del viso della Vergine di
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