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In settembre, poco dopo la chiusura della mostra dedicata ai Campi e alla cultura artistica cremonese del Cinquecento, mi capitò di rintracciare nell'archivio di un amico, in una cartella di varie fotografie di dipinti, l'interessante riproduzione dell'opera che offre lo spunto per questa ricerca. Si tratta della documentazione visiva dello stato originario nel quale si trovava la pala d'altare (tavola 1) sinora nota esclusivamente tramite i due frammenti conservati rispettivamente nel Museo civico di Cremona (inv. n. 1280) (tavola 2) e nella raccolta Cagnola a Gazzada (Varese) (tavola 3), ed ora concordemente riferiti a Giovan Francesco Bembo detto il Vetraro (l). Solo in occasione della recente esposizione è stato possibile osservare per la prima volta ravvicinate le due parti superstiti dopo la loro forzata separazione. Da un primo rapido confronto tra l'immagine riprodotta sulla fotografia ritrovata e il frammentario pannello di Cremona potrebbero sorgere perplessità circa l'identificazione del secondo come parte dell'originale perduto, principalmente a causa di alcune diversità nell'intensità delle gradazioni tonali. La conferma che si tratta del medesimo dipinto risulta, dopo un più accurato esame, dalla coincidenza di ogni particolare dell'opera. Le differenze sono, infatti, semplicemente dovute al diverso stato di conservazione della tavola, un tempo sporca e ricoperta da vernici e ridipinture, con i colori ossidati e opachi, per cui il copricapo della Vergine sembra di panno; poi, dopo il restauro, il frammento si presenta con gamme cromatiche brillanti e con la liquida trasparenza delle tinte che trasforma, ad esempio, il drappo in un raffinato velo di fine lino. Proprio il più importante lacerto, quello nella collocazione cremonese, venne reso noto dalla Gregori con l'attribuzione ad Altobello Melone ed una datazione di poco successiva il 1520 (2); la studiosa mise in connessione questo dipinto con le tre tavole di predella (Bergamo, Accademia Carrara, inv. nn. 603-605) (tavole 4, 5, 7) per le quali ravvisava l'influenza dal Pordenone, attivo a Cremona all'inizio del terzo decennio, ed una conseguente collocazione cronologica subordinata a questo influsso. Nello stesso anno (1955) Ferdinando Bologna riconduceva questi tre pannelli all'attività giovanile del Bembo, verso il 1515 (3), all'epoca cioè dell'intervento di quest'ultimo nella decorazione pittorica della navata del Duomo cremonese (Adorazione dei Magi e Presentazione di Gesù al tempio). In seguito Giovanni Romano individuava nel tondo con la testa di Santo della collezione Cagnola (4) un particolare della pala frammentaria; lo studioso confermava inoltre la possibilità che i tre pannelli di Bergamo appartenessero all'ancona e assegnava al Bembo il complesso così ricostruito, confortato in questo riferimento dalla medesima conclusione cui era giunta indipendentemente
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