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Note su Marco d'Oggiono, discepolo di Leonardo

11) Giovanni Agostino da Lodi, Ritratto d'uomo (disegno), Parigi, Fondazione Custodia

Bonnat di Bayonne (Francia­Inv. N.I. 1788, mm 740x560; negativo Doucet n. 2467). Entrambe le opere di Marco rivelano una sobrietà in seguito abbandonata e scelte cromatiche fortemente discordanti, tali da farle ritenere appartenenti a una ristretta fase di nuove sperimentazioni. Non è mai stato avanzato il nome di Marco, invece, per la "Vergine che allatta il Bambino", del Museo Poldi Pezzoli di Milano, che "costituisce un unicum singolare nel contesto della pittura di osservanza leonardesca in Lombardia" (M. Natale, Museo Poldi Pezzoli. Dipinti, Milano 1982, p. 90). Si tratta dell'opera di uno stretto discepolo del maestro vinciano che propone con originali varianti l'esempio prestigioso della Madonna Litta, quest'ultima ricondotta recentemente dal Ballarin e dallo scrivente a Giovanni Antonio Boltraffio, certo su una matrice dello stesso Leonardo. Liberata dal pesante velo giallastro che fino a poco tempo or sono uniformava i colori, la tavola ha rivelato tonalità decise. I dubbi e le sorprese che il dipinto solleva mi sembra svaniscano collocando la sua esecuzione in quell'ambiente ancora misterioso ai nostri occhi, che è l'entourage di Leonardo a Milano. L'opera sembra il frutto, sia dal punto di vista tecnico sia da quello stilistico, di un pittore che tenta di percorrere nuove strade. Nel modo con cui l'artista realizza il chiaroscuro degli incarnati si evidenziano legami comuni ai più diretti discepoli del maestro vinciano, quali il De' Predis e Francesco Napoletano; se inoltre vinciamo i giudizi non sempre positivi su Marco d'Oggiono, cogliamo alcune attinenze, se non altro morfologiche, col modo di dipingere che di lui conosciamo, con i suoi ricorrenti modelli e le sue tipologie. È ancora prematuro affermare l'autore di quest'opera che ha le caratteristiche per risalire ad un momento verso la metà dell'ultimo decennio del Quattrocento; ritengo che la stima verso gli esordi di Marco debba essere rivista, forse proprio alla luce di questo capolavoro di cui varrà)a pena trattare più ampiamente, forse proprio con l'occasione fornita dal prossimo convegno leonardesco. Se è più che corretto e meritorio liberare il campo dai risultati dello "spregiudicato attribuzionismo" come lo definisce il Sedini (p. V), bisogna anche comprendere la responsabilità che in fondo questo atteggiamento comporta. li giudicare in maniera definitiva, l'accogliere o l'escludere un quadro può significare avere compreso o meno i processi evolutivi e le stesse nuove ricerche di un pittore che si ritiene di conoscere. Accertarne le pause o intuirne le vette. Nel volume in questione sono molte le opere respinte dal catalogo di Marco senza, a mio avviso, una sufficiente motivazione e non mancano quelle che, pur essendo

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