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8a) Francesco Napoletano, San Sebastiano, già Sotheby's
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9) Maestro della Pala Sforzesca (Francesco Napoletano), Sant'Ambrogio, collezione privata
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10) Maestro della Pala Sforzesca (Francesco Napoletano), San Rocco, collezione privata
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Si osservino i dettagli degli angeli che sorreggono la corona, la torsione del Bambino, le mani e il volto della Vergine e la caratterizzazione fisionomica dei santi. Ognuno di questi dettagli si contraddistingue per un aspetto eterodosso, al confine con i canoni tradizionali. Anzi per una personale interpretazione di detti canoni in chiave stravagante e bizzarra, al limite della comune scelta narrativa. Perché forse il ciclo di Annone rispetta questa tradizione figurativa? A parte gli Apostoli nel sottarco e la Gloria di Dio Padre con gli Evangelisti nella volta, che si allacciano al momento più antico del pittore, mi pare che la parte principale sottenda ad una tutt’altro che larvata liberalizzazione formale, con quel dinoccolato incedere del San Giorgio, di una modernità in bilico tra eleganza e provocazione, (fig. 1) sulla medesima lunghezza d’onda dell’altro estroso frequentatore di Leonardo, Giovanni Agostino da Lodi. E l’intensità straziante del gruppo centrale, per nulla canonica quanto profondamente vera, nonostante una certa enfatizzazione. Carattere che corrisponde al pannello con il San Sebastiano nel trittico di Brescia, realizzato verosimilmente poco dopo il 1495, alla paletta di Zurigo e alle altre opere del Galli. Corrisponde il modellato fortemente chiaroscurale che infonde un effetto massiccio e statuario agli incarnati, il sottile taglio degli occhi spesso abbassati e le fossette ombreggiate sulla bocca, il fluente sciogliersi sulle spalle delle lunghe chiome, lumeggiate dai riflessi dorati. Il volto leggermente reclinato della Madonna di Brera appare speculare a quello dell’angelo a sinistra guardando la Pala Sforzesca e identico a quello della Madonna di Stoccolma. E ancor più si noti l’analogia della gamba arcuata col medesimo riflesso ombreggiato sul ginocchio, presente sia nel Cristo crocifisso di Annone, sia nel San Sebastiano di Brescia. A mio avviso dunque il cosiddetto Maestro della Pala Sforzesca, arrivato verso il 1495, cioè dopo la pala e a ridosso degli affreschi di Annone, si libera di quegli schemi formali acquisiti negli anni formativi, per aderire con maggiore convinzione allo spirito e alla tecnica di Leonardo, diventando quello che conosciamo come Francesco Napoletano. La collaborazione col Vinciano per l’altare di San Francesco Grande, documentata dall’Angelo musicante (Londra, National Gallery) mi sembra la prova evidente di questa situazione, certo supportata dallo stile delle opere ricordate in precedenza, diventando sempre più coerente con i desideri del maestro. Ne sono una dimostrazione la stesura più sciolta e l’impasto più liquido. Il resto della differenza viene fatta dalla personalità del pittore, come abbiamo detto, tutt’altro che sottomessa, ma piuttosto autonoma nella sua adesione leonardesca e anche sensibile alle novità veneziane. Ricordiamo
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